Visto dalla nostra sezione ANPI: Le elezioni europee 2024 in Spagna

I risultati delle elezioni europee per quanto riguarda la Spagna non si sono discostati da quelle che erano le previsioni: la vittoria è andata al centrodestra del Partido Popular (PP), ma il PSOE del primo ministro Sánchez ha sostanzialmente tenuto bene, superando il 30% del voto.

La vigilia del voto è stata segnata soprattutto da due fenomeni. Il primo è relativo al fatto che il voto europeo è stato il quarto in appena sei mesi. Infatti, tra fine inverno e metà maggio si è votato in Galizia, nei Paesi Baschi e soprattutto in Catalogna meno di un mese fa. Le elezioni catalane sono state un trionfo per i socialisti, che per la prima volta hanno vinto chiaramente in seggi e voti nella comunità autonoma; inoltre, sempre per la prima volta dal ritorno della democrazia, le forze nazionaliste non hanno la maggioranza assoluta dei seggi nel Parlamento catalano. La politica del governo Sánchez riguardo alla cosiddetta “questione catalana” si è dunque dimostrata vincente, tanto che la stessa Catalogna, alle successive elezioni europee, si è dimostrata uno dei bacini elettorali più proficui per i socialisti. Il dato negativo del voto catalano è dato dall’ascesa della destra: il PP ha guadagnato molti voti, Vox ha mantenuto posizioni ed è entrato nel parlamento locale anche un gruppo di ultradestra catalano nazionalista e xenofobo.

Risultati delle elezioni europee del 9 giugno in Catalogna

Il secondo fenomeno che ha caratterizzato la campagna elettorale per le europee è stato la campagna mediatica contro la moglie di Sánchez, denunciata da un’associazione di privati cittadini per presunti abusi in ambito lavorativo. La denuncia, che qualsiasi tribunale avrebbe scartato perché priva di significato e di prove, è stata invece accettata a Madrid, ed ha portato alla reazione di Sánchez che per alcuni giorni ha lasciato in dubbio la sua continuità al governo. Il caso è parte dell’abituale strategia della destra di costruire “campagne di fango” per delegittimare i rivali politici (un parallelo si potrebbe tracciare con le montature di cui furono oggetto i Clinton negli anni 90), attuato attraverso un bombardamento mediatico specialmente nei nuovi social media. Le forze di destra – sia il PP che Vox – hanno ovviamente rilanciato le accuse inasprendo il tono dello scontro politico, con l’obiettivo di far cadere al più presto un governo che continuano a considerare illegittimo da quando, nell’estate scorsa, non hanno ottenuto, contro le previsioni, la maggioranza alle elezioni generali ed hanno dovuto ingoiare l’amaro boccone di una riconferma di Sánchez. Il risultato di tutto questo è stato che la campagna per le europee è stata convertita da PP e Vox in una sorta di “plebiscito” contro Sánchez, con la speranza di ottenere un trionfo di dimensioni tali da costringere il premier alle dimissioni. Il PSOE, d’altro canto, ha invece risposto con una campagna a favore dell’attuale primo ministro e della sua coalizione di governo, cercando di mobilitare l’opinione pubblica e denunciando le manovre della destra.

Dopo queste doverose premesse, i risultati elettorali del 9 giugno hanno visto senza dubbio molte notizie negative, tra cui la bassa partecipazione della cittadinanza. In primo luogo, il PP ha vinto le elezioni con il 34% del voto, crescendo di ben 9 eurodeputati rispetto al 2019, nonostante il suo discorso sempre più estremista e violento. Vox si attesta sul 9,6%, guadagnando 2 deputati e posizionandosi stabilmente come terza forza politica del paese. È inoltre entrato al Parlamento Europeo un nuovo gruppo di ultradestra, guidato da un agitatore mediatico di nome Alvise Pérez, che ha fatto campagna praticamente solo sui social (Telegram), utilizzando molti degli slogan tipici della nuova destra (a favore di Putin, contro i vaccini, contro la “casta”). Il nome di questa specie di “partito” che ha raggiunto il 5% è già tutto un programma, Se acabó la fiesta. Infine, altro elemento negativo è il crollo delle forze alla sinistra del PSOE: la piattaforma di sinistra Sumar, guidata da Susana Díaz, ha preso solo il 4,6%, tanto che la stessa Díaz si è dimessa dalla guida della piattaforma. Podemos, che dopo esser confluito in Sumar per le scorse elezioni politiche ha deciso di scindersi e correre in solitario, è ridotto a un misero 3,28%, e se non intervengono fattori inaspettati sembra condannato alla marginalità politica.

Nonostante tutti questi elementi negativi, ci sono però un paio di elementi positivi da tener presenti, elementi che fan sì che, tutto sommato, il panorama spagnolo continui ad essere meno catastrofico che quello di altri paesi della UE. In primo luogo, se il leader del PP Feijóo aveva pensato ad un plebiscito per cacciare Sánchez, non ha ottenuto quel che voleva. La destra vince, sì, ma non vince come sperato e quanto sperato. Non, comunque, tanto da portare alle dimissioni Sánchez. In secondo luogo, il PSOE resta un partito di centrosinistra molto forte e solido. È vero che nel suo risultato conta la caduta delle forze di Sumar e Podemos, assorbite in gran parte dallo stesso PSOE, ma è anche vero che i socialisti superano il 30% dei voti – cosa che nel resto d’Europa appare quasi fantascientifica – e che in alcuni territori fondamentali come appunto la Catalogna restano una forza largamente maggioritaria.

Per concludere: il risultato spagnolo, che sotto certi aspetti è in linea con le generali tendenze europee che vedono il rafforzarsi della destra e della destra estrema, mostrando alcuni segnali chiaramente preoccupanti, sotto altri aspetti continua a costituire una (parziale) eccezione al panorama continentale. C’è da sperare che questa (parziale) eccezione si mantenga e che – soprattutto – l’attuale maggioranza di governo continui a frenare l’ascesa dell’ultradestra.